Paolo Poli ha attraversato la storia della cultura e dello spettacolo italiani in maniera sorprendentemente trasversale. Dal cinema alla televisione dal teatro alla canzone ha saputo rileggere e interpretare il meglio della cultura borghese italiana con una leggerezza aristocratica, l’aristocrazia dell’intelligenza, quella di chi legge e studia, quella della quale Pasolini negli anni 60 aveva già denunciato la scomparsa.
Comincia a recitare nei teatri di Firenze, Roma e Genova portando in scena personaggi esistenti (Rita da Cascia), testi teatrali Rosmunda di Vittorio Alfieri, Tito Andronico di Shakespeare e letterari L’Asino d’oro di Apuleio e le poesie di Pascoli (Aquiloni).
Tra i programmi televisivi, condotti a cavallo tra gli anni 60 e 70, ricordiamo Babau, nel quale intervista importanti personaggi della cultura italiana, tra i quali Umberto Eco e Camilla Cederna, oltre a recitare, vestito di un maglione a dolcevita rigorosamente nero. Programma censurato e mandato in onda solamente nel 1976 col titolo Babau 70.
Poli è stato l’unica incarnazione camp nel panorama italiano, proponendo un travestitismo non mediterraneo, sensuale o eccessivo come quello di Leopoldo Mastelloni, ma sempre ben ancorato alla cultura borghese, il camp essendo un termine intraducibile che lega la consapevolezza della discriminazione all’autoironia, come fanno le persone ebree o quelle omosessuali appunto.
Poli si vestiva da donna non perché omosessuale ma perché l’omosessualità gli faceva analizzare i costumi italiani dal di fuori e dal di fuori riusciva a coglierne ipocrisie e ammiccamenti (Sin da piccolo sono stato travestito. Perché i balilla cosa sono se non un travestimento? E comunque io lo faccio solo sul palco).
Omosessuale dichiarato in tempi in cui coming out non lo si faceva nemmeno negli Stati Uniti, ha incarnato un modello di omosessuale squisitamente italiano, discreto, ammiccante, solo e solitario (Il mio caso non è certo quello di Platinette. Il travestimento è nel cervello non nelle gambe. Le persone sono tutte iridate, non c’è mai solo un colore, sicché non c’è bisogno di un vestito che sottolinei un carattere più che un altro…).
Che interpretasse Santa Rita Da Cascia (nel 67 e Scalfaro fece una interrogazione parlamentare perché la Santa era interpretata da un uomo) o le damine del café-chantant, l’intelligenza scenica gli permetteva di andare sul palcoscenico en travestì senza farne una questione di militanza, di rottura col mondo borghese (Noi si andava da soli sul rogo, mentre i compagni di scuola, tutti sposati, li scoprivi alla stazione coi giovanotti… Oggi è diverso. Oggi li vedi in branco. Anche a teatro. Schierati come le ninja, con il capo ninja e gli altri dietro).
Poli sbeffeggiava la borghesia dall’alto di una cultura aristocratica, rimanendo fuori dalla mischia (perché mi vogliono tutti bene? Perché mi faccio veder poco) sfottendo senza sminuire, anzi, proponendo la parodia come estremo atto di amore e rispetto.
Quando canta Bello e impossibile vestito da prete, con tanto di clergyman, oppure cantare Senza fine enfatizzando le parole mani grandi mani senza fine mentre, nei panni di un borghese, paga un operaio col quale si è appartato, fa divertire il pubblico, ma lo fa anche riflettere, su di un comportamento (omo)sessuale nascosto ma diffuso, e sullo sfruttamento, anche sessuale, della borghesia sul proletariato.
Poli sfotte il perbenismo e la borghesia di un paese che fa ma non dice come recita una delle canzoni di quel repertorio che ha tante volte portato sulla scena e anche inciso in diversi dischi.
Lontano dalle rivendicazioni delle persone omosessuali Poli ha saputo portare in prima serata in tv (era il 74 e la trasmissione era Milleluci con Mina e Raffaella Carrà) il travestimento maschile dell’uomo che fa la donna non per riconoscere altri ruoli di genere ma per scardinare dall’interno quella famiglia eterosessuale che tutti pretendevano di difendere ma che in pochi, e poche, seguivano davvero.
La sua scomparsa segna la fine di un epoca e di un tipo di uomo, colto e omosessuale, leggero e ammiccante, che non scade mai nella volgarità, con uno stile invidiabile.
Della morte disse Non ne ho paura quando arriva non ci sono più io, dicevano i greci.
Adesso che è morto, un mondo senza Paolo Poli un po’ di paura ce ne fa.
Alessandro Paesano
(dichiarazioni tratte da repubblica e lettera43)
L’articolo Addio a Paolo Poli. 86 anni spesi tra teatro, tv e musica sembra essere il primo su ANDDOS.
Fonte: ANDDOS